Teatro Laura Betti – Casalecchio di Reno (BO)

Lo spettacolo che ha visto la collaborazione dell’Istituto Tecnico Salvemini / Laboratori teatrali con l’adattamento e regia di Massimiliano Briarava, ha visto in scena 32 tra studenti, docenti, cittadini, figli e genitori. L’adattamento dal testo curato da Marco Paolini in collaborazione con Marco Martinelli è stato accompagnato da una riflessione che ha unito alle vicende del Vajont quelle legate a Casalecchio: il disastro aereo dell’Istituto Salvemini, un incidente aereo avvenuto il 6 dicembre 1990, quando un Aermacchi MB-326 dell’Aeronautica Militare italiana fuori controllo precipitò contro l’Istituto Salvemini di Casalecchio di Reno, causando la morte di 12 studenti di 15 anni e il ferimento di altre 88. Lo spettacolo è stato inoltre preceduto dalla proiezione del cortometraggio “Un fiume. Corteo e Canto di Comunità”, una produzione ITE Salvemini, per il progetto “Patti educativi di Comunità” promossi dal MIUR. Un progetto di Massimiliano Briarava, direzione della fotografia di Federico Forlani Q4.

Grande è stata la partecipazione da parte di un pubblico molto eterogeneo, che ha preso parte all’evento muovendosi non solo da Casalecchio, ma da vari paesi limitrofi dell’area metropolitana di Bologna e dalla città stessa. Grande entusiasmo non solo per la cornice progettuale che ha animato più di 130 teatri di tutt’Italia, ma anche per l’allestimento proposto e per la cura organizzativa. La serata ha visto oltre 300 presenze in sala.

Breve descrizione sulla composizione del gruppo artistico

L’allestimento di VajontS del Teatro Laura Betti è stato affidato a Massimiliano Briarava che ha curato un progetto aperto all’intera cittadinanza; sono stati in 32, studenti, docenti, cittadini, figli e genitori a prendervi parte. Dalle note di regia: “ci siamo incontrati 7 volte, mentre io capivo che forma dare al testo, come distribuirlo, come arrivare alle 22.39 del 9 ottobre 1963 alle 22.39 del 9 ottobre 2023, come tenere tra le orecchie e tra le mani quel rumore indicibile. E, devo dire, tutto è stato piuttosto semplice, perché tutti volevamo la stessa cosa. Si dice che l’uomo sia la creatura meno naturale che la natura abbia creato. Eppure è stato molto naturale fare teatro insieme. È stato giusto. Di quella giustizia di cui mai si smette di avere bisogno”.

Spettacolo itinerante – Pavullo Nel Frignano (MO)

Carissime e carissimi,

lunedì 16 è stata davvero una gran bella giornata. Lo spettacolo, sempre straordinario, di Marco, ma anche l’incontro pomeridiano tra tutti i partecipanti al progetto. 

Quello che avete immaginato e realizzato è stato davvero potente – come ormai avete ben capito anche voi – e inaspettato. Era da tempo che non assistevo a una mobilitazione spontanea di questa portata e di così grande generosità e sincerità. Tutte merci molto rare di questi tempi. Oltre alle cose già da molti dette in quell’incontro (atto politico, mobilitazione collettiva, rete spontanea, atto di comunità ecc.) sento di dover sottolineare due cose, che avrei detto anche in quel contesto.

  1. Questa idea ha funzionato perché alla testa cerano degli artisti e non degli organizzatori. La “chiamata” l’ha fatta Marco e questo ha reso immediatamente credibile tutto quello che è avvenuto dopo, anche se ha avuto bisogno di un grande lavoro organizzativo. Dopo però, non prima. Questo deve dirci qualcosa e farci riflettere per il futuro: dev’essere uno dei segni distintivi di questa nuova rete che si è andata costituendo spontaneamente, senza calcoli di alcun tipo.
  2. Si è recuperato un rapporto paritario tra operatori professionali e amatori. In un interessante post pubblicato il 6 ottobre da Anna Bandettini su Repubblica, viene riportato un discorso recente di Eugenio Barba, uno dei miei maestri. Barba ricorda che quando arrivò per la prima volta in Norvegia, non aveva un diploma e non poteva lavorare, per cui ricorre a quella cultura che è stata la cultura parallela del teatro: il teatro dei dilettanti. Ricorda che uno dei suoi principali maestri è stato Antoine, attore che aveva le sue radici in un teatro di amatori perché lavorava in una compagnia elettrica e faceva l’attore solo quando il lavoro glielo permetteva. Chiamò il suo teatro Teatro Libero, perché era libero dal mercato. Noi, in Vajonts23, abbiamo agito liberi dal mercato. 

Quando poi Eugenio fonda l’Odin lo fa da amatore: il teatro è per lui soprattutto un mezzo per trasformare la realtà, non si identifica con le avanguardie. “Io – dice – appartengo a questa cultura dei ’senza nome’, anche se sono stato accettato dalle istituzioni, è con queste persone che mi sento a casa”. Ecco, anch’io lunedì mi sono sentito a casa in quella platea fatta anche da un barista, da bibliotecari, da insegnanti, da cittadini. Teniamo conto di questo dato, importantissimo a mio avviso. 

Non perdiamo questi due messaggi: amatori e liberi dal mercato. E’ da qui che si ricomincia una piccola, modesta rivoluzione: rimettendo al centro questi valori. 

Grazie e un grande abbraccio.

Roberto De Lellis – Direttore ATER Fondazione