Cominciamo a leggere il testo. La prima lettura è solitaria. Ognuno nel proprio spazio, con il proprio tempo. La seconda lettura ci vede riuniti insieme. Seduti vicini. Ma la seconda lettura tarda ad avere inizio. é irrefrenabile la voglia di condividere le proprie sensazioni. I momenti in cui la voce si è fermata, gli occhi fissi sulla pagina. Una frase in particolare. Un passaggio in particolare. Le parole. E solo dopo un lungo tempo di riflessione e scambi, la seconda lettura ha inizio.
Sentiamo la necessità di un’immagine per chiudere il nostro lavoro. Sono le parole di Dino Buzzati a suggerircela. Nella nostra testa funziona. Semplice. Visibile. Una metafora che prende vita. Le parole di Buzzati ci avevano lasciato un segno profondo. Ci siamo ritrovati più volte a parlarne. Quell’immagine lì bastava. Così anche la scrivania entra in scena, con una tovaglia, un bicchiere vuoto e una caraffa piena d’acqua che lentamente, nel silenzio, sotto i nostri occhi, si svuota nel bicchiere, adesso colmo d’acqua fino all’orlo. A questo punto Andjelka prende una pietra e la lascia cadere nel bicchiere. Quel suono. Breve e rotondo. Pare fare eco nell’intero teatro. A questo suono segue la piccola onda che si riversa sul tavolo e da lì piomba per terra, sulle assi di legno del palcoscenico. Un’onda piccola e indomabile. Così come è parso ai nostri occhi questo intero progetto. E siamo orgogliosi e fieri di averne fatto parte. Con la nostra piccola onda.