«Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi». Scelse queste parole entrate nella storia, Dino Buzzati, sul Corriere della Sera dell’11 ottobre del 1963, per descrivere la sciagura del Vajont. Alle 22.39 del 9 ottobre, esattamente sessant’anni fa, milioni di metri cubi di roccia e di terra precipitarono in un baleno nell’acqua del bacino idroelettrico, creando una gigantesca onda che annientò in pochissimi minuti migliaia di vite. Migliaia di storie. Migliaia di progetti. Di tradizioni. Di esperienze. Di sogni. Paesi interi. La geografia umana ancor prima che fisica di una valle, di una comunità, di un’Italia che si presentava come all’avanguardia e che si ritrovò fragile, claudicante, incapace di guardare in faccia la realtà. Solo una voce – quella di Tina Merlin, che dalle colonne dell’Unità aveva denunciato il pericolo mentre quasi tutti cercavano di isolarla, di metterla a tacere – parlò di tragedia annunciata. «Non si può sapere – scriveva già nel febbraio del 1961 – se il cedimento sarà lento o se avverrà con un terribile schianto. In questo ultimo caso non si possono prevedere le conseguenze. Può darsi che la famosa diga tecnicamente tanto decantata e a ragione, resista – se si verificasse il contrario e quando il lago fosse pieno sarebbe un immane disastro per lo stesso paese di Longarone adagiato in fondo valle – ma sorgerebbero lo stesso altri problemi di natura difficile e preoccupante». Del resto, già nel 1960 vi fu una prima frana. Parole inascoltate, quelle di Tina Merlin. Anche perché al tempo si esaltava un’opera architettonica straordinaria, senza vedere il luogo “friabile” nel quale era stata costruita. Parole sommerse, in un certo senso, dall’onda che si portò via per sempre la vita di 1.910 persone (fra loro quasi 500 bambini e ragazzini). Faccio mia una frase scritta da Antonio G. Bortoluzzi ne «Il saldatore del Vajont»: L’acqua non si ferma e porta con sé il boato di una montagna che cade nel lago e le urla, i gemiti, le grida strazianti nella notte nera del disastro; e voci sommesse che chiamano ancora lavoratori, studenti, impiegati, tecnici, politici, giornalisti, artisti, volontari, professionisti, paesani, famiglie, turisti. Sono le vittime del Vajont. E chiamano tutti noi, non solo i colpevoli». Non smettiamo di ascoltarlo, quel grido che la memoria tende a cancellare.

Domani sera. Nel 60esimo anniversario della tragedia, l’azione corale di teatro civile sarà messa in scena in contemporanea nei teatri italiani Il Cristallo aderisce con il lavoro della compagnia Guildy e un inserto speciale, scritto da Alessandra Limetti, sulla valanga della MarmoladaIl racconto del Vajont” era la voce e il corpo di Marco Paolini trent’anni fa. Domani se- ra, nel 60esimo anniversario del- la tragedia che costò la vita a 2000 persone, diventerà “Vajon- ts 23”, azione corale di teatro civi- le messa in scena in contempora- nea in 130 teatri dall’Alto Adige alla Sicilia e anche all’estero.Anche il Teatro Cristallo aderi- sce a questa iniziativa. La compa- gnia Guildy, diretta da Alice Ra- vagnani, presenterà lo spettacolo alle ore 21 con un inserto speciale inedito, scritto ad hoc da Alessan- dra Limetti, sulla valanga della Marmolada del 2022, intitolato “L’urlo della Regina”.A Bolzano, al Teatro di via Dal- mazia 30, Vajonts 23 sarà messo in scena, nell’ambito del percor- so del Cristallo “Madre Terra”, dalla compagnia Guildy, giovane compagnia vincitrice del bando del Comune di Bolzano “Futura” 2022.Non solo memoriaLa storia del Vajont riscritta, 25 anni dopo il racconto televisivo, da Marco Paolini con la collabora- zione di Marco Martinelli, dram- maturgo e regista del Teatro delle Albe, non è più solo un racconto di memoria e di denuncia sociale, ma diventa una sveglia. La narra- zione di quel che è accaduto si moltiplica in un coro di tanti rac- conti per richiamare l’attenzione su quel che potrebbe accadere.«Quella del Vajont – spiega Paolini – è la storia di un avveni- mento che inizia lentamente e poi accelera. Inesorabile. Si sono ignorati i segni e, quando si è pre- sa coscienza, era troppo tardi. In tempo di crisi climatica, non si possono ripetere le inerzie, non possiamo permetterci di calcola- re il rischio con l’ipotesi meno pe- ricolosa tra tante. Tra le tante scartate perché inconcepibili, non perché impossibili».

Grandi attori e allievi delle scuole di teatro, teatri stabili e compagnie di teatro di ricerca, musicisti e danzatori, maestran- ze, personale e spettatori arruola- ti come lettori si riuniranno neiposti più diversi, dallo Strehler di Milano ai piccoli teatri di provin- cia, a scuole, chiese, centri civici, biblioteche, piazze di quartiere, dighe e centri parrocchiali. Cia- scuno realizzerà un proprio alle- stimento di Vajonts 23 a partire dalle peculiarità del suo territo- rio. E poi, tutti si fermeranno alle 22.39, l’ora in cui la montagna franò nella diga.Il lavoro del CristalloIl Teatro Cristallo di Bolzano propone, grazie al lavoro della compagnia Guildy per la regia di Alice Ravagnani, uno spettacolo per non dimenticare e soprattut- to per far conoscere, alle giovani generazioni, la tragedia del 9 otto- bre 1963.E anche la tragedia della “no- stra” montagna, la Marmolada edella valanga più recente, quella del 2022.

Un “Vajont” locale, una trage- dia tremenda, che viene posta in rilievo grazie al testo inedito di Alessandra Limetti “L’urlo della regina”, che sarà integrato all’in- terno dello spettacolo di lunedì. A grande richiesta, lo spettacolo, sold-out da tempo, che avrebbe previsto un allestimento raccol- to, col pubblico sul palco, è stato invece ripensato – su sollecitazio- ne del pubblico in attesa – e alle- stito in maniera più tradizionale, col pubblico in sala. L’ingresso è gratuito con prenotazione obbli- gatoria (presso la cassa del Teatro Cristallo, sull’app Teatro Cristal- lo Bolzano, dal totem automatico posizionato fuori dal Teatro Cri- stallo oppure online).Vajonts 23 sarà come un canovaccio. Ci sarà chi lo metterà in scena integralmente, chi lo userà come uno spunto e lo legherà alle tante tragedie annunciate che si sono succedute dal 1963 a oggi: in Toscana l’alluvione di Firenze del 1966, in Piemonte si racconterà di quando il Po e il Tanaro esonda- rono nel 1994, in Veneto delle al- luvioni del 1966 e del 2010, in Campania della frana di Sarno del 1998, in Friuli degli incendi del Carso nel 2022, in Alto Adige, al Teatro Cristallo, della valanga del- la Marmolada del 3 luglio del 2022 e in Romagna dell’alluvione di maggio.

Sul sito www.lafabbricadel- mondo.org è possibile trovare la mappa completa dei gruppi che hanno aderito e dei luoghi in cui Vajonts 23 andrà in scena doma- ni.

 

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