Soccorsi tra le macerie dei paesi distrutti dall’onda tracimata dalla diga del Vajont il 9 ottobre 1963: la tragedia provocò 1.910 vittime

Alle 22:39 del 9 ottobre calerà il silenzio. Quella l’ora in cui sessant’anni fa (1963) dalla montagna chiamata Toc, nome friulano per “marcio” o “guasto”, si staccò una frana di 270 milioni di metri cubi di roccia (per tre chilometri di lunghezza). Si schiantò nella diga del Vajont alzando un’onda di duecento metri. Spazzati via i paesi sottostanti, i morti accertati furono 1.910. Una tragedia che Marco Paolini iniziò a raccontare tre decadi dopo, portandola in teatro, con un monologo a suo modo. «Avevo dentro una grande rabbia per l’oblio», dice adesso che quel sentimento il tempo ha trasformato nella «voglia di ribellarsi al destino»: alluvioni, incendi, valanghe si sono succedute nei decenni, segnali inquietanti di un cambiamento in atto in un Paese fragile.

Ben 200 compagnie e attori portano in scena uno spettacolo in contemporanea in tutta Italia. «Sarà come far risuonare una sveglia», spiega Marco Paolini, autore del monologo a cui si ispira il canovaccio e dell’evento. «Abbiamo rimosso tutto», dice Paolini che ha promosso “VajontS 23” con la Fabbrica del Mondo. All’evento del 9 ottobre parteciperanno anche artisti come Marcoré, Sermonti e Teresa Mannino.

Paolini torna oggi sul palco, facendo della performance uno strumento per la rivoluzione dei sentimenti. Nasce così “VajontS 23”, progetto con una “S” maiuscola messa in fondo per raggruppare la pluralità dei disastri italiani: l’alluvione di Firenze (1966), l’esondazione del Po e del Tanaro (1994), la frana di Sarno in Campania (1998), l’alluvione di Genova (2014), gli incendi del Carso (2022), la valanga staccatasi dalla Marmolada (3 luglio 2022), fino all’alluvione in Romagna (maggio 2023). «Il progetto “VajontS 23” è nato nove mesi fa», spiega Paolini. « Obiettivo: radunare cento luoghi, tra teatri e centri di aggregazione per un’azione corale di teatro civile . Sembrava un obiettivo impossible, ne abbiamo riuniti il doppio». Lui sarà al Piccolo di Milano nel momento in cui si alzeranno i sipari del Teatro Stabile del Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Sardegna, Torino, Genova, Bolzano, Reggio Emilia.

Dai circoli alle centrali idroelettriche

Presenti le compagnie storiche del teatro di ricerca dal Css di Udine all’Accademia Perduta/Romagna Teatri, dalla Fontemaggiore Teatro di Perugia al Crest di Taranto, e pure Kismet e Tric Teatri di Bari. Performance si terranno anche in alcuni luoghi particolari come l’ex ospedale psichiatrico Pini di Milano, alcune centrali idroelettriche, i circoli letterari, l’Hangar 11 a Belluno e l’aula magna del Politecnico di Milano. “VajontS 23” varcherà i confini con rappresentazioni a Parigi, Edimburgo, Ginevra e Maiorca. Tutti si fermeranno, in contemporanea, alle 22.39, l’ora in cui la montagna è franata.

Quando è troppo tardi

Fermare tragedie future, questo il messaggio. «Dobbiamo muoverci. Ci stiamo raccontando la fiaba dell’azione intrapresa a piccoli passi. Basta», esorta Paolini. «Quella del Vajont è la storia di un avvenimento che inizia lentamente e poi accelera. Inesorabile. Se ne sono ignorati i segni, e quando se ne è preso coscienza era troppo tardi. Non si possono ripetere le inerzie». È così attuale proporre la tragedia del Vajont? «Non un monito alla memoria da trasmettere alle nuove generazione, bensì l’inverso. Si risponde alle esigenze delle nuove generazioni, ricordando quanto accaduto. Muoviamoci in tanti e senza fermarci». Paolini ha di recente rimesso mano alla sceneggiatura originale del suo monologo (“Vajont” fu trasmesso in diretta tv il 9 ottobre 1997 ed è oggi visibile su Youtube, ndr ), riducendone i tempi e attualizzando il contenuto. Un filo conduttore per i duecento gruppi che hanno aderito all’appello. «Un canovaccio in cui chi lo rappresenterà darà la propria interpretazione».

«Oggi è cambiato l’immaginario»

Cosa è cambiato oggi rispetto al passato? «L’immaginario», dice Paolini. «Il Vajont degli anni Sessanta era un luogo contadino e marginale. In tanti si sono sentiti vicini a quegli uomini e quelle donne colpite dal disastro. Prevaleva la pietà, ma restavano distanti. Oggi, c’è una sensibilità diversa verso la montagna, le sue genti, i luoghi contaminati e devastati da inquinamento, consumo del suolo e turismo di massa. Eppure, abbiamo rimosso la storia. Viviamo in un Paese con una frana a pranzo e l’altra a cena. Di fronte a eventi estremi, come le recenti tempeste su Milano, si sono però ridotte le distanze; non ci si sente più sicuri nelle nostre stesse case . Riproporre la tragedia del Vajont, è come far suonare la propria sveglia». Il teatro «non indica la strada da seguire, ma può mettere insieme le anime».

I segnali ignorati

In questa direzione si muovono gli “Incontri della Fabbrica del Mondo” (Montegrotto, Assisi e Trani le tappe 2023), agorà in cui Paolini e il filosofo Telmo Pievani accolgono i loro ospiti per scambi d’idee e discussioni aperte al pubblico. Tema dell’estate: l’acqua. «Stiamo progettando la prossima stagione e non sarà ripetizione. Resterà il tema dell’acqua. La vicenda del Vajont è l’impossibile che diventa realtà, la tragedia/e che potrebbero ripetersi su scala diversa e in un tempo assai più breve. I segnali c’erano, furono ignorati o sottovalutati». Numerosi gli artisti che hanno aderito al progetto “VajontS 23” . A Torino, Gabriele Vacis (firmò la regia nel 1997) porterà in scena il racconto con i giovani della compagnia Pem. A Roma ci saranno tra gli altri Pietro Sermonti, Neri Marcorè e Isabella Ferrari. A Ravenna, Marco Martinelli. A Palermo, Teresa Mannino. A Udine, Davide Enia. A Genova, Luca Bizzarri ed Elisabetta Pozzi. A Venezia e Padova Ottavia Piccolo, Giuliana Musso, Maria Roveran, Bobo Citran, Sandra Toffolati e Diego Ribon. L’elenco dei teatri è disponibile sul sito de La Fabbrica del Mondo e chi volesse aderire può ancora farlo scrivendo a info@lafabbricadelmondo.org. Il progetto VajontS 23 è promosso dal Comitato La Fabbrica del Mondo e realizzato da Jolefilm con Fondazione Vajont di Longarone.

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