Alla sua voce se ne sono aggiunte mille: artisti, intellettuali, attori, musicisti, scuole

Marco Paolini è una voce unica nel panorama della nostra cultura. Una voce autentica, libera, eterodossa, di cui ti puoi fidare. Una voce montanara, aspra e dolce insieme, dal sapore antico, ma capace di raccontare la modernità – del viaggio di Marco Polo ne “il Milione”, ad esempio, o della contemporaneità scientifica ne “La fabbrica del mondo”. Una voce da poeta e da crooner, cresciuta masticando le poesie di Zanzotto e l’Italia di una certa provincia. Ma, più di ogni altra cosa, è sempre stata una voce sola. Sola non perché isolata, ma anzi, accompagnata da un successo crescente. Sola perché i suoi spettacoli sono fatti soprattutto della sua voce. Del suo volto roccioso, spesso perturbato, della sua straordinaria, seducente, travolgente capacità di raccontare. È così, con la sua voce e il suo talento narrativo, che ha inventato – nei fatti – quello che abbiamo imparato a chiamare teatro civile.

Una delle forme più vitali del nostro teatro contemporaneo, quella che ha la forza di portare in scena temi storici, politici, sociali, di denuncia, e lo scopo di informare di formare è partita trenta anni fa quando Marco Paolini scrisse e portò in scena il racconto del Vajont, fino a rappresentarlo in diretta televisiva in prima serata su Rai Due proprio dove si era consumata la tragedia, sotto la diga del monte Toc, davanti a Longarone.
Un lavoro straordinario, che aveva la puntualità del grande giornalismo d’inchiesta e insieme il lirismo emozionante indispensabile al grande teatro e raccontava il tragico crocevia tra un’opera d’ingegno, lo sforzo del lavoro degli uomini, la potenza della natura, il crimine di chi sapeva che non si poteva fare e scelse comunque di fare e quello di chi doveva e poteva evitare per tempo. Un lavoro che ha rilanciato la ricerca della verità e che ha restituito dignità alle storie di chi in quel canyon italiano si è spezzato la schiena e ha perso tutto quello che aveva: vita, casa, famiglia, futuro. E oggi che da quella strage che costò la vita a duemila innocenti e che spazzò via intere comunità – dalle 22.39 di quel 9 ottobre 1963 sono passati esattamente sessant’anni – Paolini ha messo in piedi una nuova meritoria azione di teatro civile con “Vajonts23”, in un immaginario plurale. Perché non c’è solo il disastro di Longarone, Erto e Casso da onorare e ricordare, ma c’è la battaglia civica e civile da combattere oggi, facendosi spazio tra il rumore che fanno negazionisti da un lato e catastrofisti dall’altro, per ricordarci che col Creato non si scherza e che il contrasto al dissesto idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio deve essere una priorità assoluta della politica e del Paese. Per non parlarne solo quando piangeremo le vittime della prossima frana, del prossimo alluvione, del prossimo terremoto. La battaglia per Italia Sicura, ad esempio, che più volte è stata ricordata sulle pagine del Riformista, da Erasmo D’Angelis primo tra tutti.

E la voce di Marco Paolini non è più sola. Ma alla sua voce se ne sono aggiunte mille: artisti, intellettuali, attori, musicisti, scuole. Un grande coro per il Vajont e per i tanti, troppi Vajonts del nostro Paese che, contemporaneamente, alla stessa ora in oltre centocinquanta teatri italiani e in altre decine di luoghi (palestre, istituti, università, associazioni) ha riportato in scena il testo di Paolini, volgendo lo sguardo alla memoria e al futuro, insieme. Dallo Strehler al Carcano di Milano, dal Puccini di Firenze al Brancaccio di Alessandro Longobardi a Roma, da Bergamo a Lecce, da Verona a Palermo, da Torino a Napoli. Dalla voce di Pietro Sermonti a quella di Telmo Pievani, da quella di Nerì Marcorè a quella di Luca Zingaretti, da quella di Valerio Aprea a quella di Mario Tozzi, da Barbora Bobulova a Paolo Calabresi, da Elena Radonicich a Isabella Ferrari. Un elenco senza fine che chiede di passare dalla Protezione Civile alla Prevenzione Civile. Che crede nel progresso ma anche nella cura del territorio. Come ha detto Marco Paolini, presentando Vajonts: “Trent’anni fa l’intento era portare giustizia dove non c’era stata, memoria dove c’era stato oblio. Oggi è diverso, oggi sappiamo tutto, basta aprire internet, ma quella storia parla di oggi, parla di noi”. E allora grazie Marco, per la lezione di ieri e quella di oggi.

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